Il 20 settembre il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, presenterà all’assemblea del Palazzo di Vetro la richiesta di riconoscimento della Palestina come stato indipendente, il 194° delle Nazioni Unite.
Mi permetto di esprimere sommessamente la mia opinione su questo avvenimento.
Premesso che considero intollerabile lo stato di segregazione a cui è sottoposto da anni il popolo palestinese, guardo con molta preoccupazione alla scelta da parte dell’ANP di ricorrere all’ONU. Penso infatti che, comunque vada a finire, quest’atto avrà delle pesanti ripercussioni in tutto il Medio Oriente.
Nel caso la risoluzione venisse respinta potrebbe verificarsi l’ulteriore inasprimento dei rapporti fra Israele e gli stati arabi che si vedrebbero ancora una volta costretti al volere della prima sostenitrice della causa sionista, l’America (che si è già detta pronta a utilizzare il suo diritto di veto sulla richiesta dell’ANP). La “primavera araba” ha portato ad una nuova consapevolezza il mondo arabo e l’indipendenza della Palestina è l’ultimo atto di questo processo di risollevamento che sta trovando nella Turchia e nel suo primo ministro Recep Tayyip Erdogan il nuovo riferimento regionale. Una bocciatura sarebbe dunque vista come il tentativo da parte dell’Occidente di ostacolare questo percorso.
Nella remota ipotesi che la risoluzione dovesse passare si marcherebbe l’isolamento di Israele che, vedendosi con le spalle al muro, potrebbe aumentare il suo livello di guardia incrementando le misure restrittive nei confronti dei palestinesi con conseguenti imprevedibili reazioni alle quali non si farebbe attendere la dura risposta del governo Netanyahu che non è certo conosciuto come un pacifista. Saremo dunque di fronte ad un’escalation nella quale gli Stati Uniti si vedrebbero risucchiati in nome dell’alleanza con Israele (nonostante la politica del presidente Obama sia meno filo-israeliana rispetto ai suoi predecessori).
Pur nella legittima aspirazione di liberarsi dal giogo ingiusto di Israele, la scelta di ricorrere alla “prova di forza” in seno alle Nazioni Unite aprirebbe la strada a prove di forza di ben altra natura.
Per tentare di riavviare i colloqui di pace, l’ANP e il governo israeliano dovrebbero entrambi fare un passo indietro rispetto alle loro aspirazioni territoriali, nella consapevolezza che non ci sarà mai giustizia in medio oriente senza perdono. Parole purtroppo che non hanno quartiere nel vocabolario della Realpolitik internazionale. Nel frattempo, Abu Mazen dovrebbe responsabilmente rinunciare alla richiesta di ricoscimento della Palestina come stato sovrano membro delle Nazioni Unite o, quantomeno, accontentarsi dello status di osservatore (non membro), come lo sono il Vaticano e la Svizzera.