I poveri diventano più numerosi di giorno in giorno. Secondo i rapporti di Caritas e Inps, nel 2021 vivevano in condizione di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie pari a circa 5,6 milioni di individui, e il dato è destinato a crescere. Oggi sono povere anche quelle famiglie che fino poco tempo fa non lo sarebbero state e il fenomeno del “lavoro povero” (cioè l’occupazione remunerata con un salario talmente modesto da non permettere di superare la soglia di povertà), causato dall’estrema parcellizzazione della prestazione lavorativa avallata dalle “riforme del lavoro” messe in campo in questi anni, sta assumendo una dimensione sempre più preoccupante.
La globalizzazione e il liberismo senza freni, le migrazioni, la crisi sanitaria ed economica, la guerra in Europa stanno moltiplicando il numero dei poveri, portandoli inevitabilmente ad essere sempre più presenti nella nostra quotidianità e questo ci disturba molto più che in passato. Il tasso di disturbo è talmente sentito che arriviamo a contestare anche quelle, ormai poche, istituzioni, come la mensa di Ca’ Letizia gestita dalla San Vincenzo di Mestre, che si occupano di chi vive condizioni di difficoltà economiche estreme.
Allontanando dal centro città le associazioni che hanno come principale missione la solidarietà non solo la povertà non smetterà di esistere ma continuerà a disturbarci, perché essa non è altro che il prodotto dello stesso modello di sviluppo in cui anche noi viviamo e perché ci rimanda continuamente a prendere coscienza della nostra responsabilità verso gli altri, chiunque essi siano e da dovunque essi provengano.
Nascondere i poveri, oltre che piantare fiori nelle rotonde e tenere pulite le strade, non risolverà i problemi economici e sociali che sono sotto gli occhi di tutti: non si contano più le serrande di attività commerciali che continuano a chiudersi, quasi quotidiani sono i pestaggi se non anche gli accoltellamenti per le strade, molte persone iniziano ad avere paura a frequentare di sera anche le zone più centrali, la città non appartiene più ai cittadini ma è ostaggio degli spacciatori e dei tossici, e il fenomeno si è ormai allargato anche alle zone lontane dalla stazione.
Mestre è una città che rischia di morire se non si inverte la rotta e se questi temi non tornano ad occupare il centro dei pensieri di ogni cittadino e cittadina. È maturo il tempo per un nuovo protagonismo dei mestrini che vogliono riprendere in mano il destino del posto in cui vivono e che non si voltano dall’altra parte quando incrociano i poveri, come è stato fatto in questi anni da parte dell’Amministrazione comunale che ha demolito, passo dopo passo, le politiche sociali e di sostegno alla persona.