Avevamo capito da parecchio tempo che la maggioranza dei tedeschi voleva essere governata, per una seconda legislatura, da Angela Merkel. Ma la Germania, purtroppo, si è italianizzata. Ha smesso di essere tendenzialmente bipolare per diventare pentapolare, e produce così risultati elettorali che contengono in sé, teoricamente, quattro o cinque coalizioni possibili. Avremo probabilmente, come era nelle speranze del cancelliere, un governo composto da cristiano-democratici e liberali. Ma il vecchio consenso tedesco, fondato sull’alternanza tra forze politiche altrettanto responsabili e affidabili, si è incrinato. La Repubblica federale è meno stabile e prevedibile oggi di quanto fosse nel 2002, quando i due maggiori partiti (come ha ricordato Roberto D’Alimonte sul Sole 24 ore di ieri) avevano il 77% dei voti e l’83% dei seggi, o addirittura negli anni Settanta, quando avevano il 90% degli uni e degli altri.
Vi è un altro aspetto di queste elezioni, tuttavia, a cui dovremmo guardare con invidia. Nel corso della loro campagna elettorale Merkel e Frank-Walter Steinmeier hanno evitato di esasperare le loro differenze e di proporsi al Paese come scelte radicalmente diverse. Sappiamo che Steinmeier desiderava la continuazione della Grosse Koalition e che Merkel preferiva un governo con i liberali in cui sarebbe stata più «domina» di quanto sia stata negli ultimi quattro anni. Ma ciò che ha maggiormente colpito nelle scorse settimane è l’assenza di aggressività, di battibecchi, di scontri frontali, di accuse reciproche. Questa non è soltanto buona educazione. I due leader hanno responsabilità di governo, hanno affrontato insieme tutti i maggiori problemi degli ultimi anni, potrebbero lavorare insieme in futuro e sanno soprattutto che la grande recessione ha ulteriormente ristretto la libertà di azione di un governo nazionale.
Quando fece campagna per il suo primo mandato Merkel aveva un progetto liberista. Avrebbe voluto diminuire le tasse, ridurre l’intervento dello Stato nell’economia ed essere ancora più coraggiosamente riformista del suo predecessore. È stata invece prudente, pragmatica e, quando la crisi ha colpito le banche e le industrie, non meno interventista, proporzionalmente, del governo laburista di Gordon Brown. Anche se provengono da famiglie politiche diverse Merkel e Steinmeier sanno che si governa soltanto tenendo d’occhio il centro del Paese e che il centro è ovunque un amalgama contraddittorio di spiriti liberali e interessi corporativi, aspirazioni riformatrici e riflessi conservatori. È inutile e pericoloso fare promesse che non verranno mantenute o dipingere come una minaccia nazionale l’avversario con cui prima o dopo bisognerà mettersi d’accordo. È inutile creare un clima di contrasti insanabili quando occorrono anzitutto collaborazione e consenso. Sotto questo profilo le elezioni tedesche contengono, indipendentemente dal loro risultato finale, un messaggio per l’Italia dove accade da qualche anno esattamente il contrario. I risultati piaceranno al Pdl e spiaceranno al Pd, ma lo stile della campagna elettorale contiene una lezione per entrambi.
Sergio Romano, corriere.it, 28 settembre 2009