In questi giorni, in seno al Consiglio Comunale di Venezia, si stanno formando gruppi politici che dal verdetto delle urne (nel lontano 2005) non avevano ottenuto il consenso necessario per eleggere loro rappresentanti a Ca’ Farsetti. Si sta quindi assistendo all’uscita di consiglieri da un gruppo per andare a formarne uno nuovo (servono almeno tre consiglieri per costituire un gruppo).
In questi casi, coerenza e rispetto per gli elettori vorrebbero che ci si dimettesse dalle cariche elettive, ma evidentemente non è così scontato e la politica ne esce sempre più screditata e derubricata, ancora una volta, come un mero traffico di poltrone.
E’ chiaro che non voglio mettere in discussione il fatto che, ad un certo punto, non ci si riconosca più nei valori e nei metodi del partito a cui si appartiene tanto da volerne uscire, mi permetto solo di suggerire che la soluzione dovrebbe essere quella di dimettersi ed eventualmente ripresentarsi alle successive consultazioni elettorali sotto la nuova bandiera. Ma è ovvio che qui i valori c’entrano poco, è purtroppo una brutta malattia della politica per la quale non c’è ancora la cura.
E’ un dilemma che mi assilla da tempo, perche’ e’ vero che i nostri rappresentanti sono eletti sulla base di liste di partito, ma e’ anche vero che agiscono “senza vincolo di mandato”, per cui non possono essere chiamati a rendere conto delle loro scelte ne’ dal partito che li ha eletti e neppure dagli elettori (se non alla scadenza del loro mandato).
Credo che questo sia uno dei principi fondamentali che qualifica una democrazia e in quanto tale debba essere rispettato, anche quando gli eletti fanno scelte che chi li ha votati non condivide…
Forse l’unica eccezione la farei per il Parlamento nazionale, dove, a causa della legge elettorale (liste bloccate e assenza di preferenze), gli eletti in realta’ sono “nominati” dal partito, e in quanto tali al partito dovrebbero rispondere (vedi il caso di Pierluigi Mantini, eletto col PD in Lombardia e poi passato all’UDC).
Comunque tutti questi voltafaccia dovrebbero subire quello che succede ai parlamentari inglesi se (rarissimamente) decidono di cambiare partito: si chiama “walk the floor” (attraversa il pavimento) perche’ lo speaker della camera li chiama per nome e li costringe ad attraversare l’aula per spostarsi al nuovo posto che e’ stato loro assegnato. Cosi’ si segnala anche visivamente la scelta che l’eletto fa, spesso accompagnata da urli di protesta dei suoi elettori e del pubblico.
Li vorrei vedere i vari Salviato, Toffanin, Lastrucci ecc… essere chiamati per nome, doversi alzare tra lo sdegno generale (ovviamente si dovrebbe organizzare un po’ di “movimento”), attraversare l’aula di Ca’ Farsetti e poi andarsi a sedere dall’altra parte…
Su questo argomento di potrebbe aprire un bel dibattito.
Per quanto mi riguarda il “senza vincolo di mandato” dovrebbe essere interpretato come uno strumento per permettere all’eletto di esercitare la propria capacità di discernimento senza costrizione o influenza alcuna. Non sarei per ampliare il concetto fino a considerare politicamente accettabile “l’attraversamento del pavimento”.
Conidero più comprensibile, in nome dell’assenza del vincolo di mandato, tenere una posizione contraria a quella del gruppo a cui si appartiene, anche se, spesso, questo atteggiamento è il preludio ad uscire (o a essere messi fuori) dal gruppo.
In ogni caso credo che, a prescindere da questa norma formale di valore costituzionale, sia un comportamento riprovevole che non fa un buon servizio alla politica.
Non penso che il “walk the floor” verrà istituito anche qui da noi: il costo della manutenzione dei pavimenti solcati sarebbe troppo elevato.
la più grande malattia che purtroppo abbiamo in Italia è la disinformazione. Per mia fortuna sono un eletto e non un nominato( dal partito o dal sindacato )e quindi agisco liberamente secondo coscienza. La mia scelta dipende dalla non condivisione del progetto che ha visto nascere il partito democratico e, dati i risultati, le mie considerazioni pare siano state, direi profetiche.Io non sono stato eletto nel partito democratico e, mi permetta, nessuno può impormi di aderire ad un movimento di cui non capisco tutt’oggi gli indirizzi politici.
Siete in troppi che parlate del nulla e lasciate invece che i problemi, quelli veri, si complichino sempre più. Cercate di produrre un minimo decente per giustificare la vostra presenza in politica, e se non ci riuscite lasciate il posto a chi si impegna. Con tutti i problemi che ci sono …….
cordialmente
ing. valerio lastrucci
E’ vero che il consigliere comunale Lastrucci non è stato eletto nel Partito Democratico (al tempo il partito non esisteva ancora) ma, a onor del vero, non è stato eletto nemmeno tra le file dell’IDV (gruppo al quale ora appartiene).
Considero legittimo il fatto di non aderire ad un partito del quale non di condive l’indirizzo e conseguentemente scegliere dove collocarsi. Mi riesce più difficile comprendere come in questi cambiamenti di posizione l’unica cosa che rimanga ferma è la sedia sulla quale si è seduti.
Nulla di personale.
Non so se appartengo alla categoria di coloro che “parlano del nulla” ma personalmente ritengo questo consiglio comunale uno dei peggiori esprimibili dal tessuto della città di Venezia!
Se si dovesse produrre “un minimo decente”, caro ingegnere, il suo nominativo, assieme a quello di altri suoi colleghi attualmente a cà farsetti, non comparirebbe nemmeno nella lista…..
si aggiunga poi che patentini di “utilità ” politica non li da nessuno, o meglio li da l’elettore ogni cinque anni, il suo è in scadenza e temo non verrà rinnovato!
Il vuoto politico e programmatico che questa amministrazione sta esprimendo mortifica Venezia e umilia i militanti/sostenitori, che sempre difendono la squadra anche quando essa è indifendibile.
Le Sue scelte personali non si discutono, ovviamente, ma la politica è anche confronto e critica, ovviamente non pretendo abbia tale fine forma mentis…
Ad ogni modo buon lavoro
Non credo che il problema del voltagabbanesimo in politica si possa misurare con l’esistenza o meno di norme e regole che lo rendono formalmente possibile.
Il problema della politica italiana a tutti i livelli è l’assenza di un adeguato senso civico, di un corrispettivo sentimento democratico e di una necessaria onestà intellettuale. Il politico è l’espressione di una cultura nazionale dove l’aggiramento della legge e l’opportunismo, secondo le regole del familismo a-morale ben messe in evidenza dalla sociologia già negli anni ’50/’60, risultano le uniche norme rispettate. La non esistenza di sistemi e strumenti che sanzionino gravemente chi non rispetta (se non formalmente) le leggi democratiche e di chi agisce contro l’interesse collettivo (fatalmente identificabile sul medio periodo con l’interesse del singolo) rende ogni pratica politica ridondante e autoreferenziale.
Un certo disamore per la politica deriva anche e soprattutto dalla diffusa percezione di come la politica stessa (seguendo tutto il paese) abbia ormai imboccato una strada di declino culturale che fa dell’interesse privato, prima e contro l’appartenenza alla comunità, l’unico diktat.
Le esperienze di trasformismo politico e le incertezze nella formazione di un partito come il PD (operazione a mio parere storicamente necessaria) sono riflessi di tale diffuso atteggiamento.
Una postilla storica; Aristotele considerava la democrazia la miglior forma di governo solo per popoli abbastanza colti e sviluppati (quindi nella sua visione solamente i greci di Atene), mentre i “barbari” potevano essere meglio condotti da una forma di governo monarchica. Il teatrino della politica italiana sembra dimostrare che la condizione culturale di questo paese sia tale da non rendere il sistema democratico il migliore per la nostra nazione.