Siamo alla vigilia della Festa della Liberazione e in questi giorni va in scena il solito rito che, da un lato, vede coloro che devono riflettere attentamente(!) prima di partecipare o meno alle manifestazioni del 25 aprile e, dall’altro, chi afferma che questa deve essere una festa comune e non un’ulteriore occasione di divisione politica.
Questa contrapposizione è il frutto evidente della mancanza di una visione condivisa di quello che sono stati la guerra di liberazione e il movimento antifascista che Piero Calamandrei definì “quel monumento che si chiama ora e sempre Resistenza” e di cui Sandro Pertini parlò come di “un secondo Risorgimento i cui protagonisti furono le masse popolari”. All’opera della Resistenza si deve la nascita dello stato democratico italiano fondato sulla Costituzione scaturita dalle scelte dell’Assemblea costituente figlia anch’essa dell’esperienza partigiana.
Conseguenze inevitabili dell’assenza di una memoria condivisa sono i continui tentativi di revisione storica. Ultimo tra questi tentativi è la proposta di legge n. 1360 con la quale si vuole istituire l’Ordine del Tricolore, con tanto di assegno vitalizio da corrispondere indistintamente sia ai partigiani, sia “ai combattenti che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente e aderirono a Salò”.
È importante ribadire che la Resistenza non è stata una guerra civile come quella che si ebbe in Spagna nel 1936: dopo il 1943 (anno della firma dell’armistizio con gli anglo-americani) in Italia lo scontro fu tra soldati e combattenti per la libertà contro gli invasori tedeschi ed i collaboratori repubblichini, i primi combattevano in nome della democrazia, i secondi combattevano a fianco delle SS hitleriane sostenitrici della necessità di conquistare uno “spazio vitale” per la Germania Nazista.
In merito Giuliano Vassalli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha affermato che “non si può riconoscere a chi ha contrastato lo stato italiano sovrano, schierandosi con la Repubblica Sociale, il titolo di combattente. La stessa Cassazione con le sue pronunce è chiara nel definire i repubblichini come nemici. Bisogna dire no e non solo per ragioni politiche ma anche dal punto di vista costituzionale”.
Il 25 aprile dovrebbe essere patrimonio di tutti e non appartenere ad una sola parte politica, ma il traguardo verso una memoria condivisa è purtroppo ancora molto lontano.
Come promesso eccomi.
Direi bene il primo intervento. D’accordo su quanto scritto.
Superare le ferite del passato (azione in nome della quale in questi ultimi anni alcune forze politiche hanno porposto l’equiparazione di combattenti e repubblichini) non significa negare la verità storica e ignorare le gerarchie di valori: se la Repubblica di Salò fu, come fu, un errore “etico” secondo la scala di valori democratici, allora rimane tale…